Il tuo voto ad un uomo così

"Amico mio, chissà quante volte tu hai dato il tuo voto, ad un uomo poli­tico così, cioè corrotto, ignorante e stupido, sol perché una volta insedia­to al posto di potere egli ti poteva ga­rantire una raccomandazione, la pro­mozione ad un concorso, l’assunzione di un tuo parente, una licenza edilizia di sgarro.
Così facendo tu e milioni di altri cittadini italiani avete riempito i par­lamenti e le assemblee regionali e co­munali degli uomini peggiori, spiri­tualmente più laidi, più disponibili alla truffa civile, più dannosi alla so­cietà.
Di tutto quello che accade oggi in questa nazione, la prima e maggiore colpa è tua".

Giuseppe Fava detto Pippo (1925 - 1984)

domenica, settembre 05, 2010

Melfi chiama Italia

di Nichi Vendola

Sono state inviate tre lettere nelle ultime settimane. Si sono incrociate nell’etere, si sono forse sfiorate,non si sono intrecciate. Non sono entrate in comunicazione tra loro. Non hanno dato vita a quella sinergia dalla quale dipendono interamente, oggi, le sorti della sinistra e dell’intero paese.

Due di queste lettere sono state inviate dall’ex segretario del Pd Walter Veltroni e dal suo successore Pierluigi Bersani, la terza la hanno spedita quei tre operai della Fiat di Melfi che incarnano oggi la prima linea della resistenza non solo in nome dei diritti dei lavoratori ma anche della dignità stessa del lavoro e della persona umana contro il cinismo cieco del profitto e la sua ottusa logica.

E’ di per sé positivo che i dirigenti di quel partito abbiano scelto di affidarsi allo spessore della parola scritta e non alla futilità delle comparsate televisive o alla messinscena vacua delle mosse a effetto, dense di apparenza e spoglie di sostanza. E’ positivo nonostante la vaghezza che segna la lunga missiva dell’ex segretario e il lessico intriso di politicismo che penalizza la seconda. E’ però inquietante l’assenza, in queste due lettere, di qualsiasi riferimento al sentimento, alla denuncia, all’urgenza di giustizia che animano la terza, quella degli operai di Melfi.

Melfi non è una enclave arretrata, lasciata indietro dal luminoso progredire di democratiche relazioni industriali. E’ uno degli esperimenti pilota in cui viene messo a punto il futuro tempestoso che attende le generazioni più giovani. E’ il laboratorio finale di un lavoro senza diritti, della precarizzazione come condizione umana essenziale, di una logica della produttività e del profitto promossa a unica misura di valore.

Questo disegno non è altra cosa dal populismo mediatico in cui si risolve il berlusconismo: ne è l’altra faccia. Sono feroci gemelli che procedono appaiati, di volta in volta scegliendo quale mandare avanti. Coniugati, incarnano un’idea di società, una cultura diffusa, una visione della relazione fra le persone. Per sconfiggerli la sinistra deve saper mettere in campo un’architettura complessiva di segno opposto ma altrettanto coerente, altrettanto omogenea, altrettanto ambiziosa. Cercare rifugio nelle capanne fragili delle piccole furbizie, delle alleanze inconsistenti e di alchimie politiche esoteriche e incomprensibili non ci aiuterà. Non servirà a sconfiggere il populismo berlusconiano. Non fermerà la precarizzazione globale e onnivora della società italiana.
Se il centrosinistra, qualsiasi nome scelga di darsi, vorrà competere per vincere nelle prossime elezioni, poco importa se tra un mese o tra un anno, dovrà farlo dimostrando di saper creare una nuova connessione fra quei due linguaggi che hanno oggi perso ogni capacità di comunicare fra loro: quello della politica e quello del paese reale, quello dei nostri palazzi e quello dei mille luoghi dove si sta consumando la degradazione del lavoro in una forma di moderna schiavitù, spogliata di ogni diritto. Nessuna formula convincerà mai il nostro popolo se l’alleanza di centrosinistra non sarà fondata, anziché sull’ipocrisia dei “programmi” scritti solo per essere sventolati e poi disattesi, sulla solidità di un progetto comune e di un’idea condivisa di società e di civiltà, sulle fondamenta profonde di valori unitari.

Hanno ragione tutti quelli che chiedono di affrontare la prossima prova elettorale con regole diverse. Cambiare questa legge elettorale ignobile sarebbe doveroso. Ma le leggi elettorali non sono prodotti di sartoria, che si possano ridisegnare di volta in volta prendendo le misure a seconda delle circostanze e della convenienza immediata. Modificare la legge elettorale, senza ricadere negli errori e nei puntuali fallimenti degli ultimi due decenni, deve significare oggi misurarsi senza reticenze con il fallimento del bipolarismo e con una crisi profonda della democrazia, partendo non dal microscopico e spesso errato calcolo del vantaggio a breve ma da un’idea della democrazia sostanziale, della rappresentanza dei criteri con cui ripristinare il potere reale dei cittadini, degli elettori, del popolo. Di tutto possiamo aver bisogno, oggi, tranne che delle miopi furbizie.

0 commenti:

Posta un commento