altratella.it, che fare?

Abbiamo lanciato l'hashtag #altratellachefare? per decidere insieme cosa può essere domani questo (non-) luogo e spazio. PARTECIPA ANCHE TU! Leggi tutto

La discarica di Atella nel disastro rifiuti lucano

Un'interessantissima video-inchiesta sui rifiuti e il loro smaltimento, analizzando la questione e i suoi sviluppi nell'area del Vulture. E in quest'area ricade anche la discarica di Atella di località Cafaro, discarica che rientra a pieno titolo nell'enorme business legato allo smaltimento dei rifiuti. Leggi tutto

AAA acque minerali lucane in svendita

Nell'anno 2012 la regione Basilicata ha introitato la ridicola cifra di 323.464 euro dai canoni per l'imbottigliamento delle acque minerali, se si applicasse un canone equo (come suggerito dagli autori della ricerca) di 10 euro/mc la nostra regione incasserebbe 9,2 milioni di euro. Leggi tutto

Il tuo voto ad un uomo così

"Amico mio, chissà quante volte tu hai dato il tuo voto, ad un uomo poli­tico così, cioè corrotto, ignorante e stupido, sol perché una volta insedia­to al posto di potere egli ti poteva ga­rantire una raccomandazione, la pro­mozione ad un concorso, l’assunzione di un tuo parente, una licenza edilizia di sgarro.
Così facendo tu e milioni di altri cittadini italiani avete riempito i par­lamenti e le assemblee regionali e co­munali degli uomini peggiori, spiri­tualmente più laidi, più disponibili alla truffa civile, più dannosi alla so­cietà.
Di tutto quello che accade oggi in questa nazione, la prima e maggiore colpa è tua".

Giuseppe Fava detto Pippo (1925 - 1984)

mercoledì, luglio 28, 2010

AtellaOnLive'10.Tutta un'altra musica

L’AtellaOnLive, giunto ormai alla sua 4^ edizione, torna ad animare le serate estive del piccolo centro della valle di Vitalba.
Dopo le prime tre edizioni, caratterizzate per lo più da esibizioni di gruppi emergenti del panorama del rock alternativo locali e non, quest’anno il festival musicale vira in direzione dell’elettronica, ospitando sul palco artisti del calibro di Antonino Barresi e Marco Coviello.
Ricordiamo che si sono esibiti all’AtellaOnLive anche gli ormai celebri e non più emergenti NoBraino, quando ancora non accompagnavano il programma di Rai3 della Dandini “Parla con me” e nemmeno presenziavano ad importanti e apprezzate manifestazioni musicali lungo lo stivale e oltre come invece oggi accade.
Antonino Barresi sarà accompagnato (featuring) da Konik Polny da Berlino, e dalla Vj Claer. Il trio sotto l'etichetta Joprec presenta un live set di elettronica nel quale Barresi utilizza il suo flauto traverso e sintetizzatori con l'aggiunta di un pizzico di tradizione lucana, la ciaramella.
Marco Coviello, da Colonia – Germania: ha origini atellane il giovane dj e produttore di musica techno e minimal sotto etichetta Kopfmusic. Vanta numerose collaborazioni con artisti quali DANDI & UGO (Italo Business), Nathalie S (Dandi & Ugo Remix). Affianca, inoltre, più volte artisti come GAISER (M-Nus) e FABRIZIO MAURIZI (M-Nus) all' Elektroküche Koln. Per L'AtellaOnLive presenterà il suo ultimo lavoro in live set.
Le due “guest stars” saranno introdotti da giovani dj locali: Giacomo Colangelo, Stefano Sabia con Vincenzo Carlucci alle percussioni, Andrea Lovito feat. Giò Ibiza from Hilight Tribe, Donatello Marmora “Reject” e Carmine Cassese.
Inoltre quest’anno l’evento si tiene nella centralissima Piazza Antonio Gramsci-Atella(Potenza) ed è a ingresso gratuito, si comincia alle 20 di Sabato 31 Luglio per finire a notte fonda…all’insegna del sano divertimento e al suono di tutta un’altra musica.

Per l’AtellaOnLive
Alessandro Pietropinto



giovedì, luglio 22, 2010

Il rapporto Svimez 2010 boccia la politica lucana. Senza incentivi dell’Obiettivo 1, petrolio e Fiat affossano la Basilicata

Per quanto riguarda la Basilicata i dati del rapporto Svimez 2010 sono “allarmanti”: 17,5 % di famiglie povere (reddito medio inferiore ai mille euro al mese), 12% delle famiglie che fanno a meno dei generi alimentari, 14.000 residenti in meno in Basilicata nel 2009 e 5400 posti di lavoro persi in un anno. Ecco il biglietto da visita di una regione tutt’altro che virtuosa, così come alcuni tendono ancora a presentarla.
Nel 2009, il Pil del Sud e’ calato del 4,5%, un valore molto piu’ negativo del -1,5% del 2008, leggermente inferiore al dato del Centro-Nord (-5,2%). Il Pil per abitante e’ pari a 17.317 euro, il 58,8% del Centro-Nord (29.449 euro). A livello regionale, l’Abruzzo mostra nel 2009 una diminuzione del Pil particolarmente elevata (-5,9%), seguito dalla Campania (-5,4%), e Puglia e Basilicata a pari merito (-5%). Tutte negative le altre regioni meridionali, come le settentrionali, a eccezione della Valle d’Aosta. La perdita piu’ contenuta in Sicilia (-3,1%).
A livello settoriale, nel 2009 anche l’agricoltura meridionale e’ stata investita dalla crisi, con un crollo del valore aggiunto del 5%, contro il -1,9% del Centro-Nord. A livello regionale, il valore aggiunto di Abruzzo, Basilicata, Molise e Puglia, che nel 2008 avevano registrato buone performance, e’ sceso fortemente, con valori compresi tra -8% e -11%. A fare le spese maggiori della crisi l’industria, con un crollo del valore aggiunto industriale nel 2009 del 15,8%, mentre le produzioni manifatturiere hanno segnato un calo del 16,6%. A tirare giu’ l’industria meridionale soprattutto minerali non metallurgici (-26,9%), metalli (23,9%) e macchine e mezzi di trasporto (-20,5%). Una situazione senza precedenti, avverte la Svimez: dal 2008 al 2009 l’industria manifatturiera del Sud ha perso oltre 100mila posti di lavoro, di cui 61mila soltanto lo scorso anno. In questo modo il gap dell’industria meridionale con il Centro-Nord e il resto dell’Europa si e’ ulteriormente aggravato.
Non sarebbe forse il caso che la regione abbandoni il modello di sviluppo delle multinazionali puntando sull’agricoltura, il turismo e le risorse ambientali dopo che, grazie proprio a petrolio e Fiat, i persuasori del “federalismo nostrani” (lo chiamavano federalismo solidale) hanno consetito la fuoriuscita della regione dalle aree dell’obiettivo 1 dell’Unione Europea?
Puntare sulle risorse endogene e del territorio, su attività pulite, sulla riconversione ad un’agricoltura e turismo di qualità potrebbe consentire una tenuta del tessuto sociale oggi divenuta improbabile in una terra che sempre più diviene un deserto da sfruttare come mega pattumiera chimica e petrolifera d’Italia.

sabato, luglio 17, 2010

Melfi non ci sta «Fiat sbaglia»

Alla porta Venosina ci arrivano in un migliaio, cittadini lucani, delegazioni, i gonfaloni dei comuni limitrofi, ma soprattutto loro, tantissimi, quelli di San Nicola, con le T-shirt blu della Sata. Da lontano potrebbero anche essere scambiati per tifosi dell’Italia, se non fosse che oltre a essere stati eliminati da tempo e malamente dai mondiali in Sud Africa, a Melfi venerdì, nel giorno più cocente, dell’anno più caldo di sempre, per sfilare tre ore sotto il sole di un centro cittadino incandescente si deve avere un ottimo motivo, e non è il calcio.
Per chi ancora non lo sapesse, dal megafono le preghiere degli operai chiariscono il tutto: «Giovanni, ti prego scendi, abbiamo ottenuto quello che volevamo, il paese ci ascolta, tutti sanno ormai che siete stati licenziati ingiustamente». Ma Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatello, guardano la folla dalle mura medievali e non accennano a smuoversi. Giù ci sono le famiglie, gli amici, l’intero direttivo della Fiom nazionale, le tute blu di Pomigliano, i colleghi che ormai scioperano da 5 giorni, e nonostante la cig e il peso sullo stipendio continuano a lottare per i diritti di tutti.Giovanni, capelli lunghi e brizzolati parla, gli passano un megafono e Antonio regge l’ombrello, unico e magro riparo da temperature che tolgono il fiato. Ringrazia tutti, visibilmente commosso per il corteo che ha portato la solidarietàdi tanti - tra cui anche il governatore della Puglia Nichi Vendola - sotto la porta della protesta. «Siamo qui da tre giorni, questo presidio – dice – serve a rompere il muro del silenzio che si è alzato attorno alla nostra vicenda, ma ancor di più serve come messaggio all’azienda che non può azzerare i nostri diritti». «Sì ma ora scendi, servi davanti ai cancelli, vieni con noi, continueremo la battaglia», si sgola Pina con a fianco i cartelloni simbolo di questa protesta: «Ho difeso un uomo» e «Noi puzziamo di sudore, voi di sangue operaio». La fidanzata di Giovanni, capelli raccolti e occhiali da sole non dice una parola, ma l’espressione rasenta la disperazione.Qualcuno chiama il 118, Marco Pignatello ha avuto un malore, arrivano anche i vigili del fuoco, che fanno fatica ad aprire la porta delle scale interne che conduce in cima. Gli animi si scaldano, «la Fiat pure le chiavi si è rubata», urlauna donna che tiene per mano due ragazzini dall’aria avvilita, qualcuno perde la pazienza: «prendete una scala», ma alla fine il piede di porco fa il suo mestiere. Scendono i tre operai licenziati, tutti iscritti alla Fiom, accusati di aver sabotato un robot durante uno sciopero e impedito di far lavorare chi non aveva voluto incrociare le braccia. Applausi, abbracci, ma Marco viene steso immediatamente su una barella e attaccato a una flebo, è disidratato, probabilmente ha accusato un colpo di calore, e parte verso l’ospedale. «Già nella notte si vedeva che era molto provato - spiega Giovanni – è incredibile cosa si debba fare per avere un po’ di verità». Domani saranno già davanti allo stabilimento, Antonio dice poche parole: «È stata dura, abbiamo resistito a queste temperature, solo perché non riuscivamo a sopportare che non si sapesse la verità».La loro verità la spiega il segretario della Basilicata Emanuele De Nicola: «Quella macchina non l’hanno mai toccata – dice – ora procederemo con l’articolo 28, e accuseremo l’azienda di comportamento antisindacale». Tira unsospiro di sollievo anche la moglie di Antonio, Nina che ha aspettato fino all’ultimo insieme ai due figli: «Ora basta, agiremo per le vie legali – dice – ma è incredibile cosa si debba arrivare a fare per avere un po’ di giustizia». GiorgioCremaschi della segreteria Fiom, l’abbraccia e le dice: «Se continuano con questa storia dei sabotatori (riferendosi alle parole del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ndr) li quereliamo». Lo ribadisce anche il segretario Maurizio Landini, che finalmente sorride un po’, e poi dice: «La Fiat farebbe meglio a ritirare questi licenziamenti e a riaprire la trattativa.È chiaro che cinque licenziati in 10 giorni fanno parte del disegno di restaurazione d’autorità dell’azienda, una risposta al fatto che il ricatto di Pomigliano non è passato. Ma nelle fabbriche ci vuole il consenso dei lavoratori». Ora la battaglia però deve proseguire e Landini lo aveva anche detto pochi minuti prima dal palco sistemato sotto la porta, annunciando le cifredello sciopero che, al contrario di quanto dica Sergio Bonanni, leader della Cisl, sono state un successo, dal 70 al 90% negli stabilimenti di tutta Italia.Così già lunedì a Roma è stato convocato il coordinamento nazionale Fiom del gruppo Fiat, mentre martedì si riunirà il comitato centrale per decidere le prossime iniziative, per tutto il Sud. «Andremo anche noi nella capitale – spiega Giuseppe Dinarelli, uno dei tanti arrivato dall’ormai ex-Alfa di Pomigliano, altro luogo di crisi – dobbiamo essere tutti uniti per combattere insieme questa battaglia».
E si perché oggi in piazza agli operai di Campania e Basilicata sembra alquanto chiaro il piano del Lingotto: «Da una quindicina di giorni in fabbrica c’è molta più tensione – ci dice Cosimo Martino, addetto alla lastratura, impiegato a Melfi dal 1997 – il progetto è chiaro vogliono abolire il diritto di sciopero, ma noi non torneremo indietro».Pervade tutti un senso di insicurezza e rabbia, perché le ritorsioni ricadono solo sugli iscritti della Fiom. Maria lavora alle linee del montaggio, ha 37 anni ma sembra una ragazzina: «I carichi di lavoro si sono fatti sempre più pesanti – racconta – hanno aumentato improvvisamente la produzione senza aggiungerenemmeno un operaio in più. Da questo è nato il nostro sciopero, ma ora la sensazione è quella che ci vogliono proprio piegare. Non ci riusciranno, da lunedì saremo nuovamente davanti ai cancelli».
La giornata per il momento è finita, si raccolgono le ultime bottiglie d’acqua,si arrotolano bandiere e striscioni, paonazzi e sudati si va a casa, ma non è finita, è solo l’inizio.

mercoledì, luglio 14, 2010

Melfi e la Basilicata non si piegano

“L’azione di ritorsione e di intimidazione che la Fiat sta facendo a Melfi, licenziando due delegati Fiom e un operaio del montaggio, è certamente la continuazione dell’opera di smantellamento di ogni relazione industriale degna di questo nome che con il piano di Pomigliano l’azienda di Torino intende avviare. Ma è anche qualcosa di più. Rappresenta il desiderio di rivincita sulla lotta vittoriosa dei ventuno giorni il cui accordo Marchionne, appena insediato alla guida della casa torinese, dovette ingoiare.Da allora Melfi è stata per lui quasi un’ossessione. E per smantellare l’organizzazione sindacale più rappresentativa è ricorso a tutti i mezzi: nel 2007 all’accusa di terrorismo rivelatasi immediatamente del tutto infondata, oggi a un addebito che la testimonianza di centinaia di lavoratori hanno dichiarato essere del tutto senza riscontri.Ci troviamo di fronte a una classe dirigente senza onore. E, come ha affermato Marco Revelli, in Fiat oggi si consuma non solo un aspro conflitto sociale ma anche una “questione morale”.Come nel 2004 è necessaria una sollevazione di tutta l’opinione pubblica della Basilicata e che le istituzioni regionali facciano sentire con forza la loro voce contro questi licenziamenti ingiusti e alla prepotenza della Fiat”

Piero Di SienaPresidente dell’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra e ex Senatore del Collegio di Melfi.

Il video dell'Intervento di Giovanni Barozzino(operai e delegato FIOM alla Fiat SATA di Melfi) al Comitato Politico Nazionale di Sinistra Ecologia Libertà.


lunedì, luglio 12, 2010

Vendola: La Fiat ritiri i provvedimenti di sospensione dei lavoratori e riapra il confronto con il sindacato

“Condividiamo l’appello firmato da tutti i gruppi consiliari (ad eccezione del Pdl) della Regione Basilicata per il ritiro delle lettere di contestazione di addebiti con sospensione cautelativa dal lavoro di tre operai della Fiat Sata di Melfi, di cui due delegati sindacali Fiom. Le forze politiche, a partire da quelle del centrosinistra si prendano in carico questa vicenda e sostengano le giuste richieste delle organizzazioni sindacali. Il documento approvato dalle forze politiche presenti nel Consiglio Regionale della Basilicata e'un fatto di grande rilievo e testimonia che su questioni così rilevanti come il diritto al lavoro, il rispetto del diritto di sciopero e della dignità dei lavoratori, non ci possono essere differenzazioni tra i partiti. E’ anche un segnale politico importante rivolto alla direzione dello stabilimento di Melfi e al management della Fiat”. E’ quanto afferma in una dichiarazione, il portavoce nazionale di Sinistra Ecologia Liberta’ Nichi Vendola.“Auspichiamo inoltre – prosegue il leader di Sel - la ripresa del dialogo tra le parti al fine di evitare ulteriori tensioni all’interno della piu' importante fabbrica lucana e al tempo stesso si rispettino i diritti dei lavoratori e le regole democratiche di cui il diritto di sciopero e' parte fondante. Dobbiamo registrare purtroppo, che l’esperienza di lotta conosciuta come “la primavera degli operai della Fiat di Melfi” promosso dalla Fiom e che ha rappresentato una esperienza positiva, non è servita da lezione ai “falchi” della Fiat che continuano a sottovalutare il livello di tensione esistente in tutti gli stabilimenti del gruppo soprattutto dopo la vicenda Pomigliano.Per noi – conclude Vendola - quello che accade nella più grande fabbrica del Mezzogiorno e' un fatto che ci appartiene e ci riguarda perche' la politica e' prima di tutto impegno affinche nessun diritto in nessun luogo venga sospeso. A Melfi con l’atto compiuto dalla Fiat si vuole sospendere il diritto allo sciopero e l’esercizio della rappresentanza democratica. In questa difficile congiuntura economico-sociale atteggiamenti aziendali che fanno tornare le relazioni sindacali indietro agli anni piu' bui di scontro tra lavoratori-sindacati ed azienda oltre a ledere diritti individuali, mettono a rischio gli interessi generali della nostra comunita' e dell’intero Paese”.

mercoledì, luglio 07, 2010

Permesso ricerca idrocarburi “Aleanna Resources”: vitivinicultori del Vulture parte civile contro la Regione

I produttori vitivinicoli, rappresentati dal Consorzio Qui Vulture e dal Consorzio di Tutela dell’Aglianico del Vulture comunicano la decisione di inoltrare all’ufficio regionale competente formale istanza di chiarimenti circa le modalità e i parametri che si intendono utilizzare per valutazione di impatto ambientale circa le attività di ricerca di idrocarburi che saranno avviate in diversi Comuni del Vulture dopo il rilascio del permesso di ricerca in terraferma denominato “PALAZZO SAN GERVASIO” emessa dalla società Aleanna Resources. I vitivinicoltori dell’area – in una nota stampa – esprimono preoccupazione nei confronti di un’iniziativa che rischia di mettere in seria difficoltà chi ha molto investito in questi anni sia direttamente nella propria azienda, sia per far conoscere, nel resto d’Italia e nel Mondo, un’area sconosciuta ai più, ma magnifica sotto l’aspetto della sua integrità ambientale e dall’immagine di “area pulita e incontaminata”, carte sicuramente vincenti nella comunicazione del vino legato al suo territorio. Rispetto a quest’ultimo punto i produttori dichiarano di essere pronti a costituirsi parte civile nei confronti degli Organi Regionali deliberanti, per rivalersi di tutti i possibili danni che dovessero verificarsi al settore, in conseguenza dell’attività estrattiva.

giovedì, luglio 01, 2010

Basilicata, l’isola infelice. Così si muore nella terra di nessuno

Il quotidiano nazionale Terra, sul numero di ieri, 30 giugno 2010 pubblica l’interessante inchiesta condotta da Pietro Dommarco, coordinatore della Ola(Organizzazione Lucana Ambientalista), sulle patologie tumorali in Basilicata. L’isola infelice – così titola il quotidiano, che purtroppo in Basilicata non ha una diffusione capillare – è la Basilicata che in maniera maggiore che in altre regioni del sud ha il triste primato di patologie tumorali dovute ad un inquinamento diffuso. La particolarità della Basilicata - riferisce alla redazione di Olawatch Pietro Dommarco – è che ciò avviene lontano dai riflettori mediatici, in una terra di nessuno, appunto, dove il silenzio sulle cause e le responsabilità sono assordanti, mentre proliferano impianti impattanti sulla salute dei residenti. La Redazione di Olawatch, per colmare le lacune informative esistenti in Basilicata, ha deciso pertanto di offrire alla lettura il testo dell’inchiesta giornalistica pubblicata su Terra, certi che possa squarciare il velo di silenzio da troppo tempo denunciato.


COSI’ SI MUORE NELLA TERRA DI NESSUNO
[di Pietro Dommarco]
Nicola è originario di Bari, porta il nome “del Santo che perse i genitori per la peste”, ha 56 anni, un figlio, una moglie preoccupata e un mesotelioma pleurico. Fino all’età di 47 anni ha vissuto nel quartiere Japigia, uno dei più popolati di Bari, che insieme a quelli di San Pasquale e Madonnella ospita dal 1935 lo stabilimento locale della Fibronit, azienda specializzata nella produzione di cemento-amianto. Un’area di centomila metri quadrati di estensione, numerose discariche per lo smaltimento dei residuali, “20.000 metri cubi di amianto fino a 5 metri sotto la strada”, capannoni e tanti silenzi sui rischi connessi, perchè “per trentanni gli operai hanno lavorato senza protezione dalle polveri di amianto e senza conoscerne la pericolosità per la salute. Quello che del resto avveniva dappertutto, da Nord a Sud, dalla Lombardia, al Piemonte, alla Puglia, alla Basilicata”. Negli anni Ottanta la Fibronit S.r.l. – ex Sapic – ha chiuso i battenti lasciando in eredità più di 200 decessi per mesotelioma. Ma la “conta” è destinata a crescere. Gli esperti sostengono all’unisono che tra il 2015 e il 2018 ci sarà il picco massimo in Puglia, così come nelle altre regioni italiane, interessate dai grandi insediamenti industriali. Industrie chimiche e petrolchimiche, metallurgiche, amiantifere, che hanno marcato profondamente i territori dal punto di vista sociale ed ambientale, “cedendo in dote” siti inquinati, sui quali si è poi innescato un processo di industrializzazione caotico e scarsamente programmato. Storie di “inquinamento diffuso”, scarichi incontrollati di acque reflue notevolmente tossiche, contaminazioni chimiche e batteriche delle acque superficiali, depurazioni fallanti, ma soprattutto mancate bonifiche. 27.700 è il numero di siti contaminati presenti in Italia, per un totale di 32 milioni di tonnellate di risulta, tra le quali tanto amianto. Dato confermato da un censimento condotto dalle regioni italiane in seguito alla Legge 93/2001, ma ancora incompleto considerando che Valle d’Aosta, Trentino, Calabria e Sicilia non hanno ancora risposto all’appello. La regione italiana a più alto rischio amianto è la Lombardia, nella quale si contano circa 2.700.000 metri cubi di amianto, tra 4.228 edifici pubblici, 24.000 edifici privati, nonché 1.000 siti con presenza di amianto friabile, oltre ad un numero ancora imprecisato di discariche abusive. In cinque regioni, invece, non è stato ancora attivato il Registro Nazionale dei Mesoteliomi, istituito nel 1993 presso l’Ispels, un Ente che oggi rischia di chiudere per effetto dell’ultima finanziaria del Governo Berlusconi. Cinquanta i milioni di euro finora stanziati, destinati esclusivamente ai 9 siti inseriti nella lista d’interesse nazionale, a fronte di un processo di bonifica lungo almeno 10 anni e dell’assenza di una mappatura delle aree dove smaltire i materiali. Intanto il 2015 – anno entro il quale l’amianto dovrà essere totalmente eliminato, come indicato dalla Conferenza Nazionale non governativa celebrata a Monfalcone nel 2004 – si avvicina e l’asbestosi – “la mia peste”, racconta Nicola – miete vittime. “Un male particolarmente rilevante come fattore predisponente all’insorgenza del carcinoma bronchiale e del mesotelioma pleurico, con un’incubazione anche di 30-40 anni. Basta una piccola fibra-killer e puoi essere condannato”. Dal 1993 al 2004 il Registro Nazionale dei Mesoteliomi ha censito circa 9166 casi (6224 uomini e 2261 donne), 1000 decessi all’anno su 4000 decessi per altre tipologie di tumore: polmoni, laringe e ovaie in primis. Uno scatto in avanti impressionante considerando che dal 1993 al 2001 erano 5173 – come riportato sul bollettino n.31 marzo 2010 dell’Associazione Italiana Esposti Amianto -, “di cui 1247 in Piemonte, 961 in Liguria, 590 in Emilia Romagna, 587 in Veneto (di cui 90 nuovi casi l’anno: 20 nella sola provincia veneziana). Di questi 5173 casi, per 3552 casi sono state approfondite le cause di esposizione: 67 % professionale, 4% familiare, 4% ambientale, 24% esposizione ignota”. Una vera e propria mattanza, da Miniera Balangero alla Fibronit di Broni e Bari, dalla Eternit di Casale Monferrato, di Reggio Emilia, di Massa Carrara, di Priolo, all’Italsider di Bagnoli, di Brindisi, di Taranto, all’ex Anic di Pisticci scalo, all’ex Materit di Ferrandina, fino a Gela e a San Filippo del Mela. Chiedo a Nicola quanti anni di esposizione professionale ha alle spalle come lavoratore della Fibronit di Bari. Mi risponde di non aver “mai lavorato alla Fibronit. Vivevo lì vicino, ora non vivo più”. Rientra nei casi di esposizione ambientale.

Il caso Basilicata
La Basilicata infrange da tempo l’appellattivo di “isola felice”. L’ultimo Rapporto ISTAT inserisce la Basilicata ai primi posti in Italia per mortalità da tumori, con percentuali che superano la media nazionale. Un’altra “zona franca” italiana, nel profondo Sud, dove il brusco passaggio delle vocazioni del territorio da agricole e paesaggistiche ad industriali, produttive ed impiantistiche, ha provocato un forte trauma, colpendo la salute dei residenti. Un’incidenza tumorale – dal 1970 ad oggi – che continua a crescere, assumendo sempre più i connotati di una curva pericolosa verso l’alto a forma epidemica. Una terra di nessuno dove il silenzio sulle cause e le responsabilità è assordante, tanto da far passare sottotono i 195 casi di asbestosi – dal 1960 al 1992 -, di cui 135 decessi, tra i lavoratori venuti a contatto con l’amianto durante le attività dell’ex Anic di Pisticci (poi Enichem Fibre dal 1984), della Syndial e dell’ex-Materit di Ferrandina. Ad evidenziarlo è l’Associazione Italiana Esposti Amianto, sezione della Val Basento, la prima delle due aree industriali dichiarate “Sito d’Interesse Nazionale” dal Ministero dell’Ambiente. La seconda è quella di Tito scalo, in provincia di Potenza. Ed è proprio uno Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischi da Inquinamento, commissionato nel 2006 dal Ministero della Salute, ad approfondire stime di esposizione e caratterizzazioni epidemiologiche finalizzate a “chiarire il possibile rischio sanitario associato ad un documentato inquinamento ambientale” nei 57 S.I.N. (Siti d’Interesse Nazionale). Sotto analisi circa 55 cause di morte “ritenute informative ai fini della descrizione del possibile impatto sanitario di esposizioni ad agenti inquinanti presenti nell’area di residenza”. Tumore allo stomaco, al colon, al fegato, alla laringe, ai polmoni, alla pleura, alla vescica e al sistema nervoso centrale sotto stretta osservazione. Gran parte delle sedi tumorali che in Basilicata hanno l’incidenza massima è superiore a quella che si registra nel resto d’Italia e nelle regioni vicine, come è possibile leggere nella relazione di attività del Registro Tumori Basilicata Irccs-Crob. A confronto i tassi di incidenza, basati sulle SDO (Schede di Dimissione Ospedaliere), che misurano la quantità di nuovi casi in distinti lassi di tempo, tra i quinquenni 1997-2001 e 2002-2006. I dati sono allarmanti. I casi di tumori al polmone, alla mammella e alla prostata sono in aumento in tutte le aree della regione, con delle eccezioni ancora più negative in alcune zone. Il Lagonegrese e l’area Sud spiccano per l’incremento di tutte le forme di cancro, sia per i maschi che per le femmine. Nel Metapontino crescono i casi di tumori tiroidei con un abbassamento dell’età dei pazienti, tra le cui possibili cause si riconoscono le radiazioni ionizzanti. Nel Basso Sinni il tumore alla mammella fa registrare un +46.9, essendo passati da un 29.1 ad un 76; sulla Collina Materana il tumore al colon è a +20.8, così come nel Basso Basento e nel Melandro per le donne; l’Alto, il Medio Basento ed il territorio del Bradano preoccupano per il tumore alla prostata, rispettivamente, con un +39 (da 14.7 a 53.7), un +42.2 (da 4.4 a 46.8) ed un +46.9, poco meno di un terzo dell’incremento che si registra nel Vulture (+84.2). Accanto a queste sedi tumorali che colpiscono tutte le fasce d’età, i dati confermano anche l’insorgere di nuove patologie come il linfoma non Hodgking e la leucemia mieloide. Il linfoma non Hodgking, particolarmente “aggressivo” nell’area basentana (+28.7 per i maschi, +5 per le femmine), colpisce prevalentemente le persone tra i 40 e i 70 anni e le cui cause sono imputabili anche ad alcune sostanze chimiche, come pesticidi e solventi, presenti nelle acque e nei terreni. La leucemia mieloide non ereditaria, invece, fa registrare notevoli incrementi nella Val d’Agri e nella Val Camastra con aumenti medi pari a 10.3. Tra le sue cause, oltre alle radiazioni ionizzanti, al fumo di sigaretta e ad alcuni farmaci usati per la cura dei tumori, si annoverano le esposizioni al benzene, sostanza contenuta nel petrolio e nella benzina. Una forma di leucemia maggiormente giustificabile in centri urbanizzati e con forte inquinamento atmosferico. Nella stessa fetta di territorio, meglio conosciuto per le impattanti attività petrolifere e per la presenza del centro Oli Eni di Viggiano – unitamente alla Val Sarmento, al Vulture e al Melandro – anche il tasso di incidenza del tumore al pancreas (+16, +15, +17.1, +8.5, +4.6) denota disfunzioni. Per questo tipo di cancro, più raro al di sotto dei 40 anni, una recente metanalisi – condotta in 92 studi, raggruppando 23 agenti cancerogeni – circa il rischio occupazionale e l’esposizione ambientale ha inserito tra i possibili responsabili sostanze come alluminio, nichel, cromo, idrocarburi policiclici aromatici, polveri di silicio, solventi di idrocarboni alifatici e aliciclici, presenti in attività d’estrazione e di incenerimento. Le indagini epidemiologiche in Basilicata, rivolte maggiormente all’effetto e non alla causa dell’incidenza tumorale, dimostrano la presenza di fattori di rischio indotti, in un territorio dove il sodalizio tra sviluppo industriale, occupazione e sostenibilità non ha funzionato.