GENOVA - Quando intorno alle 15 di questa gelida domenica di febbraio sono
iniziati a circolare clandestinamente i primi exit poll - “Doria in testa”,
dicevano – quasi nessuno li aveva presi sul serio. Eppure era proprio così.
Anche all’ombra della Lanterna stava prendendo forma l’effetto Pisapia. «No,
non è l’onda lunga da Milano, è un’onda percepita in tutto il Paese e i partiti
devono rendersene conto» dice Marco Doria quando alle 23e37, con un ufficiale
46% delle preferenze, viene investito come candidato del centrosinistra alle
prossime amministrative genovesi. Non ha vinto da neppure un minuto che già ha
infilato la prima stoccata ai suoi alleati del PD.
54 anni, docente di Storia dell’economia all’Università di
Genova, indipendente ma sostenuto da Sinistra ecologia e libertà, e da Don
Andrea Gallo, si è presentato come l’anti-casta, il politico “non di
professione”, quello che non vuole la gronda, e da outsider qual’era ha
lasciato di ghiaccio le due candidate favorite, Marta Vincenzi (27,5%) e Roberta
Pinotti (23,6%). Per la cronaca, i comprimari Angela Burlando e Andrea Sassano
hanno ottenuto rispettivamente l’1,9% e l’1%.
25.090 votanti. L’affluenza alle urne non è stata altissima (10 mila persone
in meno rispetto alle primarie del centrosinistra genovese del 2007) e però è
bastata a confermare un trend che ha visto negli ultimi dieci anni i Ds prima,
l’Ulivo e l’Unione poi, e il Pd oggi perdere sempre più terreno rispetto ad
altre realtà cittadine e nazionali. In più le litigate intestine degli ultimi
mesi non hanno certo contribuito a riaccendere la passione né nei quasi 3000
iscritti né nei simpatizzanti del centrosinistra.
Nella sede di piazza Della Vittoria – mai nome meno
azzeccato – le porte degli uffici si aprono e soprattutto si chiudono in
conclavi improvvisate. «Sono quindici anni che si pongono diversi problemi e
nessuno ha fatto nulla per risolverli, e ora scoppia un terremoto» sbotta
Victor Rasetto, giovane segretario provinciale del Pd, dando fine alle scorte
di tabacco e cioccolato a disposizione. Di dimissioni, per ora, non vuole
sentire parlare «Se mi chiederanno un passo indietro, lo farò». D’accordo anche
Lorenzo Basso, segretario regionale: «Sul Secolo XIX hanno scritto che Bersani
ci avrebbe messo due ore a farci fuori, tutte balle, ora bisogna riflettere e
sostenere il candidato vincitore, per vincere le prossime elezioni comunali».
Man mano che arrivano i risultati dai seggi di Sestri
Ponente, Sestri la rossa, dove il Pd paga lo scotto di non aver saputo incidere
davvero sul disastro di Fincantieri; dal Lagaccio, dove la giunta vorrebbe
costruire una moschea e dove alle urne si sono visti tanti leghisti e tanti
esponenti dei comitati contrari al luogo di culto; da San Fruttuoso, il
quartiere dove sei persone hanno perso la vita, durante l’alluvione; e dalle
ricche Castelletto, Quarto, Nervi, Sturla. Vincenzi e Pinotti sfondano solo nei
loro feudi, Valpolcevera e Sampierdarena. Altrove, ovunque, per il PD è
un’ecatombe. Un sostenitore di Marta Vincenzi entra nella sede e sorride amaro.
Parla di “partito assurdo”, di tafazzismo.
In effetti. Dall’estate a questa parte, un autogol dopo
l’altro. A luglio Roberta Pinotti, senatrice vicina all’area cattolica,
sostenuta dalle nuove leve della segreteria genovese decide di candidarsi, e lo
annuncia prima ai media e poi ai suoi vertici. Si inizia a parlare di primarie,
in agosto, ma con una convinzione scarsa abbastanza da far intendere che c’è
chi preferirebbe non ricorrere a questo strumento. Rasetto e Basso provano a
convincere Marta Vincenzi a fare un passo indietro, non è amata in città, ma la
sindaco non ci pensa neppure. Una schermaglia che va avanti con mosse e
contromosse, fino a novembre, quando il disastro dell’alluvione sembra mettere
definitivamente Supermarta fuorigioco. Così non è. Anzi. La sua indipendenza
dal partito si traduce in un “io mi candido, con o senza Pd”. E poi sondaggi
dalla lettura criptica utili solo alle società a cui vengono commissionati,
riunioni romane dalle quali Rasetto, Basso e Co. escono quasi sempre con un
“arrangiatevi”. Le primarie diventano la soluzione per risolvere una bega
interna. Non a caso quasi tutti le chiamano, da subito, primarie del PD.
Nel frattempo il “transatlantico”, Marco Doria affila i
coltelli. Con un gruppo di sostenitori che si muove attraverso facebook, a
colpi di flash mob, con sciarpe arancioni e concerti di musica indipendente.
Una formula accattivante ma vincente, no, nessuno se lo sarebbe immaginato. In
salita Santa Caterina lo slogan è “non ci posso credere”. Fino a quando, tra le
bottiglie di spumante e i cori da stadio, arriva il professore. Che non vuole
essere chiamato rottamatore, che dedica la vittoria a uno dei suoi primi
sostenitori, Paolo Arvati, ex Pci, storico del mondo sindacale, morto proprio
nei primi giorni di campagna elettorale. «Ho vinto grazie a un modo diverso di
pormi nei confronti dei cittadini» dice. Ed è una rivincita nei confronti di
chi lo accusava di fare antipolitica, di strizzare l’occhio a grillini, di
citare troppo De André (anche se nel privato preferisce Guccini). La sua
vittoria è frutto di un voto di protesta? «Di certo non si è scelto il
cambiamento di plastica, quello di chi da troppo tempo flirta con il
centrodestra – dice il coordinatore regionale di Sel Simone Leoncini – ma il
cambiamento vero, di sostanza, di chi parla di ambiente e di lavoro». E poi? Il
programma di Marco Doria, per i suoi nuovi alleati e in parte anche per chi lo
ha votato, resta un’incognita.
La vittoria di Marco Doria non scompagina solo i piani del
Partito democratico genovese. L’Italia dei Valori aveva puntato tutto su Marta
Vincenzi, sperando di uscire dalle future amministrative con un peso ancora
maggiore rispetto a quello, già sostanzioso, che ricopre nell’attuale giunta.
L’Udc, che oggi in Comune sta all’opposizione ma in Regione collabora con il
centrosinistra, aveva corteggiato e disdegnato, a giorni alterni, entrambe le
candidate. A questo punto, si schiererà a favore di Enrico Musso, senatore
liberale, ex Pdl, perfetto per vestire la maglia del terzo polo.
Il Pdl genovese, il cui congresso andava in scena in contemporanea con le
primarie, è ancora senza un candidato, segno che di partiti tafazzisti, a
Genova, ce ne sono almeno due. La Lega Nord invece è già pronta ai blocchi, con
il trentenne Edoardo Rixi.
di Giulia Mietta in Linkiesta