E’ indubbio il fatto che della società consumistica, i giovani rappresentino le truppe d’assalto.
Quelle che in maniera più sensibile, direi quasi automatica, ma soprattutto col minor numero di defezioni rispondono agli attacchi della moda e di tutti quei fenomeni più o meno passeggeri sferrati periodicamente dai territori del consumo.
Così come è un fatto grave ormai che i nostri territori, un tempo variegati e capaci di mille sfumature percettive, sentiti ed interiorizzati di volta in volta attraverso un ampio spettro che andava dal bucolico al contadino a seconda della personale matrice di appartenenza, invece vengano oggi percepiti come un unicum indistinto, cui solo il consumo ed i suoi processi riesce restituirne e a disegnarne una geografia con la quale quotidianamente orientarsi.
Ma di tutte le forme di consumo, voglio trattarne una in modo particolare, che in maniera insidiosa, sfugge a tutte le comuni regole e geografie del mercato, ma la cui mercanzia attraversa un periodo straordinariamente florido.
Ciò a cui mi riferisco è la pratica e la cultura tipicamente consumistica dello “sballo”.
Con particolare riferimento a quello ottenuto attraverso l’assunzione di alcool e droghe leggere, per la grave portata e pervasività che il fenomeno oggi assume tra i giovani.
Si badi che non si tratta di essere contro le droghe o contro l’alcool, ne di non provare alcun interesse per le lotte antipro o per la liberalizzazione delle droghe leggere, né tanto meno di essere contro la rivendicazione di alcuni diritti.
Non si vuole negare a nessuno quindi, il piacere dell’ebbrezza del vino ne la momentanea estasi delle droghe.
Questa non è una retorica lezione su una non meglio precisata e necessaria disciplina, né una semplice condanna da bacchettoni ai giovani d’oggi, ma solo una manifestazione d’odio nei confronti della cultura dello sballo e dell’estetica dell’ebbrezza.
Soprattutto quando questa viene intesa come condizion d’essere quasi irrinunciabile e per questo ricercata con sistematica quotidianità.
Sono consapevole che il bere e il fumare sono azioni che di per se non fanno male a nessuno.
Così come sono convinto, che bisognerebbe chiarire una volta per tutte, a onor del vero, che i danni e le conseguenze dirette e indirette, personali e non, legate al bere alcolici, benché legale, siano di gran lunga peggiori di quelli dovuti alla cannabis (non legalizzata).
Ma l’estetica dello sballo, il ricercare quotidianamente un anestetico per addormentare le coscienze, significa alzare bandiera bianca sulla trincea dello scontro con le già difficili sfide della società.
La pletora dei seguaci del dio sballo suscitano la rabbia propria di chi assiste ad una generazione che si annulla.
La rabbia di chi vede le proprie libertà mortificate e prevaricate dalle libertà di chi vuole passare un'altra serata anestetizzato.
Quando poi questi luoghi coincidono con quelli dove bisognerebbe lavorare per far crescere la coscienza e nei quali invece si assiste impassibili e impotenti al suo assopimento, allora la rabbia si trasforma in sconforto.
Tanti sono i ragazzi caduti nel tranello della droga dopo gli anni Settanta; troppi per rimanere inerti e "lasciar fare, lasciar passare" in nome di un diritto fittizio e miope.
Il mercato della droga è un business gestito dalla malavita organizzata, padrona ormai del nostro paese; mercato che come una pianta parassitaria, si è diramato nei quartieri a ingrassare la scorza del potere e a rosicchiare – ahimé - linfa vitale alle lotte sociali.
Non ci si può nascondere dietro la coltre di fumo della nostra cannetta, assistere al degrado che lo spaccio provoca, alla frattura che questo scava tra la gente, alla fine che fanno i poveri disgraziati che si accollano il rischio della trasgressione altrui. E' inaccettabile il fatto che ci si mascheri dietro le parole Libertà ed Emancipazione per sostenere una situazione che nei nostri paesini è ormai insostenibile.
Ricercare lo sballo in ogni dove e in ogni momento è un comportamento indotto. Chiudere gli occhi su questo ne è il riflesso.
Bisogna cacciare la droga dai nostri paesi, perchè fonte di apatia e disimpegno sociale e politico, che col tempo si trasforma nell' humus indispensabile all'attecchimento di forme più profonde e gravi di malessere, purtroppo già estremamente diffuse.
Anche e soprattutto perchè la catena dello sfruttamento che inizia sotto al nostro naso in una nuvola di fumo, non si ferma nei nostri paesini , dove non esiste una vera e propria catena dello spaccio, ma arriva fino ai terreni del sud del mondo dove intere economie agricole vengono devastate per soddisfare il bisogno d'anestesia dell'Occidente opulento. Si dovrebbe sfatare una volta per tutte il falso mito, molto in voga tra chi ne fa uso, per cui consumando cannabis si farebbe quasi un piacere ai paesi produttori.
E' oltremodo vero il contrario, cioè che quei paesi vengono tenuti volontariamente in una condizione di grave instabilità e sottosviluppo, alimentando guerre intestine e fondamentalismi e seguendo la stessa logica che le potenze capitalistiche occidentali portano avanti per i paesi produttori di materie prime e greggio, con un unico obbiettivo non dichiarato: poter continuare ad appropriarsi e gestire proprio quei prodotti a basso prezzo.
La condizione socio-economica afgana e colombiana e i loro campi rappresentano un chiaro monumento allo scempio ottenuto in cambio dell'apparentemente semplice o innocua libertà di fumare.
Chiunque senta la necessità di portare avanti la lotta per l'emancipazione dovrebbe prendere in seria considerazione la necessità, al momento attuale, di portare avanti un discorso di liberazione dei nostri paesi dalla cultura dello sballo.
Assumersi il peso dell'illegalità, senza delegare le conseguenze di questa ad altri, agli spacciatori in primis, simbolo evidente di quel "mondo marginale" che rischia per soddisfare i vizi e vezzi del "mondo perbene".
Condurre, infine, una guerra culturale al dogma dello sballo e assestare duri colpi all'estetica dell'ebbrezza, significa preferire impegnarsi nella liberazione dell'uomo e della donna partendo da presupposti che implicano la responsabilità individuale e le conseguenze delle proprie scelte come "principi non negoziabili".
Il tuo voto ad un uomo così
"Amico mio, chissà quante volte tu hai dato il tuo voto, ad un uomo politico così, cioè corrotto, ignorante e stupido, sol perché una volta insediato al posto di potere egli ti poteva garantire una raccomandazione, la promozione ad un concorso, l’assunzione di un tuo parente, una licenza edilizia di sgarro.
Così facendo tu e milioni di altri cittadini italiani avete riempito i parlamenti e le assemblee regionali e comunali degli uomini peggiori, spiritualmente più laidi, più disponibili alla truffa civile, più dannosi alla società.
Di tutto quello che accade oggi in questa nazione, la prima e maggiore colpa è tua".
Giuseppe Fava detto Pippo (1925 - 1984)
sabato, gennaio 19, 2008
Sballo: Anestetico per coscienze
Donato Pietropinto
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