altratella.it, che fare?

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La discarica di Atella nel disastro rifiuti lucano

Un'interessantissima video-inchiesta sui rifiuti e il loro smaltimento, analizzando la questione e i suoi sviluppi nell'area del Vulture. E in quest'area ricade anche la discarica di Atella di località Cafaro, discarica che rientra a pieno titolo nell'enorme business legato allo smaltimento dei rifiuti. Leggi tutto

AAA acque minerali lucane in svendita

Nell'anno 2012 la regione Basilicata ha introitato la ridicola cifra di 323.464 euro dai canoni per l'imbottigliamento delle acque minerali, se si applicasse un canone equo (come suggerito dagli autori della ricerca) di 10 euro/mc la nostra regione incasserebbe 9,2 milioni di euro. Leggi tutto

Il tuo voto ad un uomo così

"Amico mio, chissà quante volte tu hai dato il tuo voto, ad un uomo poli­tico così, cioè corrotto, ignorante e stupido, sol perché una volta insedia­to al posto di potere egli ti poteva ga­rantire una raccomandazione, la pro­mozione ad un concorso, l’assunzione di un tuo parente, una licenza edilizia di sgarro.
Così facendo tu e milioni di altri cittadini italiani avete riempito i par­lamenti e le assemblee regionali e co­munali degli uomini peggiori, spiri­tualmente più laidi, più disponibili alla truffa civile, più dannosi alla so­cietà.
Di tutto quello che accade oggi in questa nazione, la prima e maggiore colpa è tua".

Giuseppe Fava detto Pippo (1925 - 1984)

sabato, agosto 29, 2009

Melfi, scene di inizio Novecento

Da ormai troppo tempo, nella piana di San Nicola di Melfi aleggia il fantasma della lotta di classe, quel fantasma di un passato che agita il sonno dorato dei dirigenti d'azienda che solo pochi anni fa' decisero di aprire un'isola di toyotismo nelle campagne del meridione, nella speranza di far leva sulla disperazione e il ricatto della disoccupazione per trovare braccia docili e rassegnate allo sfruttamento e all'oppresione.
È durato poco il mito della fabbrica integrata: dalla rivolta dei 21 giorni della primavera del 2004 gli operai hanno imparato a non chinare il capo da allora è stato un susseguirsi di scioperi e iniziative di lotta. A maggio lo sciopero della ex-Ergom contro 30 licenzimenti ha bloccato per una settimana la catena di montaggio spalmata sul territorio, a luglio lo sciopero sul premio di risultato ha nuovamente fermato la produzione. La dirigenza della Fiat si innervosisce, ogni giorno di sciopero significa 1.500 vetture in meno di quella Grande Punto che rappresenta oggi il core business dell'azienda automobilistica e corre ai ripari: da Pomigliano arrivano pullman carichi di crumiri, per l'azienda sono 500 ma in fabbrica gli operai confermano che sono molto di più.
Selezionati accuratamente dalla Fiat tra i 5.000 operai dello stabilimento campano, attraverso i paramenti di affidabilità aziendale e clientelismo politico-sindacale, questi lavoratori sono il tentativo di piegare la resistenza operaia di Melfi. Anche la disarticolazione dell'indotto industriale è parte di questa strategia. Bisogna rompere quella "contiguità dei corpi cooperanti" che permette il travaso non solo della componentistica da un azienda all'altra, ma anche della rabbia e del conflitto sociale.
Non a caso, al presidio permanente alla Lesme incroci gli sguardi e i volti già noti delle lotte della Fiat, così come vedi arrivare gruppi più o meno consistenti di operai degli altri stabilimenti dell'indotto che non solo scioperano in sostegno della vertenza della Lesme, ma hanno anche la possibilità di raggiungere fisicamente i cancelli della fabbrica ed esprimere così concretamente la loro solidarietà ed il loro sostegno, consapevoli che lo smantellamento della Lesme è solo un tassello di un progetto più complessivo che rischia ben presto di toccare anche loro.
Spostare la produzione da Melfi a Chiavari non ha alcun altra spiegazione se non questa. Non c'è alcuna crisi, la produzione va a gonfie vele, avendo una commessa garantita e duratura, eppure i proprietari hanno fretta di smontare i capannoni e i macchinari per scapparsene a Chiavari. Una produzione accellerata di scorte a luglio, così come il cambio della agenzia di security preposta al controllo esterno dello stabilimento, lasciavano già presagire il proposito di smantellare tutto ad agosto e far trovare agli operai al rientro l'inaspettata sorpresa. Nel giro di pochi mesi la produzione sarebbe ripresa finalmente in un clima di cooperazione ed armonia, quella cooperazione ed armonia che la fabbrica toyotista doveva garantire e che ora i padroni vorrebero ricostruire attraverso l'affidamento della produzione di questi alzacristalli ad una qualche cooperativa locale ligure per sbarazzarsi di operai e sindacati.
Malgrado i lavoratori della Lasme negli ultimi anni non abbiano certo brillato nella partecipazione e nella mobilitazione alle diverse lotte di Melfi, il rischio di finire in mezzo ad una strada li ha messi in movimento fin dal 13 agosto: due settimane di vacanza fuori ai cancelli della fabbrica, in un luogo deserto e desolato a 40 gradi all'ombra, tutto cemento, capannoni e asfalto cocente.
A differenza della Innse, qui gli operai sono quasi tutti iscritti alla Fiom, all'interno della Lasme quasi l'80% è iscritto al sindacato di Rinaldini, ma c'è anche il camper fisso della Rdb/Cub e presenziano anche gli altri sindacalisti della Cisl e Uil, con la loro solita montagna di bandiere e dall'inconfondibile look di affaristi azzeccagarbugli che arrivano finanche a sblaterare sulla possibilità e la legittimità delle gabbie salariali.
Martedì sera si passa all'azione. Dopo aver sfondato il cordone di polizia posto il giorno precedente a difesa della sede di Confindustria a Potenza, gli operai hanno compreso come l'occupazione dello stabilimento non poteva esser certo rinviata di giorno in giorno per la semplice presenza di un paio di vigilantes all'ingresso. Si apre il cancello e si corre tutti dentro.
Vai a pensare che tra quei vigilantes assunti solo poche settimane prima ci fosse un folle armato che spara ripetutamente per intimorire gli operai in corsa sul vialone dello stabilimento e che agita nervosamente la pistola ad altezza d'uomo nei confronti di Emanuele, un compagno della Fiom, che gli dice a gran voce di metter giù quella pistola.
Scene di inizio novecento che si rivivono tra mamme con il passeggino, bambini che da giorni animano il presidio e gli operai che legittimamente ora sono ancor più incavolati neri. Eppure questi spari sui lavoratori non destano scalpore così come nemmeno degnI di un trafiletto sui giornali locali sono gli spari di un audace proprietario terriero di Lavello che, a meno di 10 chilometri dalla Lasme, apre il fuoco con il suo fucile contro alcuni immigrati che si erano rifugiati per la notte in un casolare diroccato di sua proprietà, stremati dal lavoro nei campi. Silenzio e indifferenza avvolgono questi atti di pura violenza e bieco terrorismo. Verrebbe quasi la voglia di vedere queste scene con i ruoli ribaltati...
No, non sparano gli operai, stiano tranquilli lor signori, ed anche gli immigrati continuano a piegar la schiena 12 ore sotto il sole cocente del Tavoliere per 3 euro al cassone di quei pomodori il cui sugo assaporisce le nostre tavole.
Ma fuori e oltre l'individualismo imperante, fuori e oltre l'imbarbarimento razzista, fuori e oltre il controllo sociale e culturale, nella società prendono spazio percorsi di resistenza all'omologazione silente e di ricostruzione di legami e conflitti sociali: per quanto possano apparire meramente difensivi, a volte anche egoistici o arretrati, negli spazi sociali come quello prodottosi in questi giorni fuori i cancelli della Lasme e delle altre fabbriche in lotta, prende corpo un senso comune e una solidarietà collettiva che disintegra progressivamente l'apatia sociale, l'indifferenza e la solitudine sociale.Cioè le travi sulle quali poggia il potere.
Francesco Caruso

Tratto da L'Altro

sabato, agosto 22, 2009

"Munnezza" e discariche.


venerdì, agosto 21, 2009

SOSPENDERE LAVORI PER DISCARICA DI ATELLA

Sospendere con urgenza i lavori di realizzazione della nuova discarica ad Atella “al fine di valutare con i cittadini, in un Consiglio comunale aperto, tutte le problematiche da essi sollevate”. E’ quanto chiede, in un comunicato stampa, la Ola (Organizzazione Lucana Ambientalista, coordinamento apartitico di associazioni e comitati di cittadini) al Comune di Atella e all’assessore regionale all’Ambiente, Vincenzo Santochirico, esprimendo solidarietà ai cittadini di Atella “che da stamattina hanno occupato il sito dove sono iniziati i lavori di costruzione della mega discarica”. “Nonostante il deludente 5% di Raccolta Differenziata dichiarato dal'Amministrazione comunale – afferma la Ola - Atella ospiterà infatti una nuova mega-discarica comprensoriale, prevista dal Piano provinciale dei Rifiuti, che dovrà accogliere la "monnezza" dei Comuni di Atella, Rionero in Vulture, Ruvo del Monte, San Fele, Rapone e Barile. La nuova discarica, di 90.000 metri cubi e del costo di oltre 2 milioni di euro, dovrebbe sorgere in località Cafaro, nell'area adiacente alla discarica esistente la cui capacità è di 140.000 metri cubi per una capacità complessiva di 230.000 metri cubi. Abbinato alla nuova discarica è previsto un nuovo impianto di vagliatura, nonostante il vecchio non sia mai stato utilizzato, che rischia di fare quindi la stessa fine”. Per la Ola “il nuovo progetto avviene in spregio della salute e dei legittimi interessi degli agricoltori e degli allevatori, già danneggiati, con problemi di inquinamento causati dalla discarica esistente, di cui ora se ne prevede l'ampliamento in assenza della bonifica del sito della vecchia discarica”. In questo modo, conclude l’Organizzazione è stato inferto “il colpo mortale alla raccolta differenziata capace di risolvere i problemi legati alla gestione dei rifiuti ed evitare anche conflitti sociali”.

Di seguito un video sulla discarica di Atella:

mercoledì, agosto 19, 2009

Metapontino: trivelle in mare!

Un impianto di trivellamento nel mar Jonio. A 70 metri metri dalla battigia. Per l’estrazione del petrolio. Un progetto, in dirittura d’arrivo, che vede la ferma opposizione dei comitati, ambientalisti e enti locali del Metapontino, in Lucania.Il «mostro», infatti, dovrebbe sorgere nel golfo di Taranto con le proteste che interessano entrambe le sponde regionali: sia la Puglia che (soprattutto) la Basilicata. Le multinazionali che hanno ottenuto le concessioni per il trivellamento dei fondali marini sono l’Eni (per la parte pugliese) e la Consul Service (per il tratto lucano). A quest’ultima nello scorso autunno succede l’Apennine Energy srl. E’ qui che le associazioni scoprono il piano e iniziano la loro battaglia. Subito dopo si accodano alcuni consigli comunali del Metapontino, le amministrazioni locali votano delibere contrarie al trivellamento del mare. Per vari motivi. «La distruzione del paesaggio oltre alle albe joniche raderà al suolo, tutta l’economia turistica, posti di lavoro e gli investimenti turistici nella zona», afferma Felice Santarcangelo, del comitato No-Scorie Trisaia, ricordando come il disegno delle multinazionali potrebbe portare a pericolosi fenomeni di «subsidenza» (abbassamento del suolo a seguito delle estrazioni di gas fino ad oltre 5 metri che possono generare allagamenti). Motivo per cui il presidente del Veneto, il pidiellino Giancarlo Galan (sotto la spinta della Lega) ha vietato progetti simili nel golfo di Venezia.«Aumenterebbe l’erosione delle coste mettendo in crisi le spiagge, i campi agricoli e i villaggi turistici per tutto il lido lucano - continua Santarcangelo - Oltre a perdere le nostre attività economiche ci ritroveremo un territorio inquinato senza risorse necessarie per sostenere tutti i servizi di cui la regione ha bisogno per le misure federaliste messe in atto dallo stesso governo». Lo stesso che, con l’ultimo disegno di legge «Energia» voluto dal ministro Scajola, espropria le regioni dalla Via (valutazione di impatto ambientale) sulle trivellazioni. Scavalcando quindi i pareri dei governatori di Puglia (Niki Vendola) e Basilicata (Vito De Filippo). Non intenzionati, al momento, a dare il loro consenso al progetto.I comitati locali non tralasciano nemmeno l’impatto distruttivo dell’estrazione petrolifera nei confronti degli ecosistemi, dei fondali marini, della flora e della fauna: «Nei fondali nello Jonio esistono ancora vulcani attivi - denunciano ancora - E il terreno è geologicamente giovane». Non hanno intenzione di accettare un altro «scempio» nella propria zona. Soprattutto dopo l’arrivo delle scorie nucleari (battaglia poi vinta nel 2003 dal movimento no-nuke di Scanzano), e l’emergenza rifiuti con discariche malfunzionanti (con tanto di infiltrazione della mafia nella gestione delle ecoballe). Il territorio è già saturo.

Tratto da IL MANIFESTO

martedì, agosto 11, 2009

L'uomo di Atella

Viaggio nei meandri della cultura archeologica lucana. Intervista al professor Edoardo Borzatti von Löwenstern, ordinario di Paleontologia Umana all’Università di Firenze. Voce narrante: Tonia Bruno.



No alla "monnezza" nei cementifici della Basilicata

Di recente - presso l’Ufficio Compatibilità Ambientale del Dipartimento Ambiente della Regione Basilicata - stanno pervenendo richieste di utilizzo del Cdr (Combustibile Derivato da Rifiuti) in cementifici, inceneritori ed impianti a biomassa ubicati in Basilicata. E’ il caso del cementificio di Barile ove la società Santa Maria di Costantinopoli Srl, del Gruppo Sacci, ha chiesto alla Regione Basilicata di utilizzare il Cdr nel proprio stabilimento, attivando la procedura VIA di cui la Legge Regionale n.47/98. Il progetto prevede di modificare, sostanzialmente, l’impianto per la produzione di cemento e clinker con il conseguente aumento dei quantitativi di stoccaggio anche delle ceneri leggere prodotte.
La OLA (Organizzazione Lucana Ambientalista) - Coordinamento apartitico territoriale di Associazioni, Comitati, Movimenti e Cittadini - ricorda che il cementificio di Barile è situato proprio nel centro abitato. Entro il 31 Agosto - cioè entro 60 giorni dalla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Basilicata (BUR Basilicata n.32 del 1 Agosto 2009) - il pubblico interessato può presentare osservazioni per quello che la nostra Organizzazione non esita a definire, se autorizzato, un vero e proprio colpo di mano che apre la strada all’utilizzo del Cdr anche in altri cementifici ed impianti a biomassa nella Regione.
La OLA ricorda, infatti, come già nel 2005 la Giunta Regionale approvò una Deliberazione che derogava le norme del Piano Energetico Regionale vigente - approvato con Deliberazione del Consiglio Regionale del Basilicata n.260 del 36 Giugno 2001. La Giunta Regionale dell’epoca tentò di far assimilare il Cdr alle biomasse, cancellando conseguentemente i divieti imposti dalla programmazione regionale vigente. Tale proposta della Giunta Regionale, per fortuna, non fu mai approvata dal Consiglio Regionale di Basilicata ed il nuovo Piear (Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale) non è ancora “passato” con legge. Nel chiedere agli Uffici Regionali di bocciare il progetto in parola, poiché incompatibile con l’ambiente e la salute dei cittadini di Barile e dell'intero territorio del Vulture, la OLA preannuncia la propria ferma opposizione al perverso disegno di quanti, per mero scopo di profitto, intendono bruciare la “monnezza” in inceneritori, centrali a biomassa e cementifici.

Da Ola

martedì, agosto 04, 2009

Riceviamo e volentieri pubblichiamo