di Maria Rita d'Orsogna*
Sono passati diversi giorni dalla fine della «Copam 2011», la conferenza sponsorizzata da Assomineraria per mostrare che è possibile sposare assieme petrolio ed ambiente in Basilicata. Da persona di scienza, non al soldo di Eni o di altre ditte petrolifere, sono molto disturbata dai contenuti ascoltati, che interpreto come pura e anacronistica propaganda. Nessun cittadino che da anni si batte per una Basilicata pulita, come quelli dell’«Organizzazione Lucana Ambientalista», è stato invitato a presentare le proprie argomentazioni. I fatti non si possono però nascondere. In alcune località lucane il petrolio è entrato nella catena alimentare. Molti giovani non vedono futuro davanti a sé e lasciano in massa la Lucania: a loro il petrolio non ha portato nessun tipo di vantaggio occupazionale o economico.
Il monitoraggio Eni in Val D’Agri è iniziato con dodici anni di ritardo. Ci vorranno anni per arrivare a un qualche tipo di conclusione.Intanto, la petrolizzazione selvaggia va avanti. Si parla di voler incrementare la produzione di idrocarburi a 185mila barili al giorno e di trivellare nei parchi nazionali, in riva al mare, vicino ai Calanchi, e addirittura a cinquecento metri dagli ospedali civili.
A cosa serve un osservatorio ambientale se intanto le trivelle procedono imperterrite? La cosa più preoccupante però è che la Basilicata, prima che essere un giacimento petrolifero, è una importante riserva d’acqua per l’Italia, un bene più prezioso e strategico per il nostro paese, che rischia di essere irrimediabilmente compromesso dalle estrazioni petrolifere.
Alcune sorgenti idriche sono state già chiuse, come «Acqua dell’Abete e della Terra», nel comune di Calvello (Pz). Anche la diga del Pertusillo è inquinata da residui che si sospetta essere petroliferi.
Per esplorare e per mettere in produzione un pozzo di petrolio o di gas occorre iniettare una grande quantità di liquidi e fanghi tossici nel sottosuolo. Il petrolio stesso si accompagna ad altra acqua tossica detta di “produzione”, mista da millenni al petrolio e spesso ricca di elementi cancerogeni.
Qualche volta per smaltire questi residui fangosi ed acque di scarto li si reinietta tali e quali sottoterra. È facile allora che migrino nel terreno, intaccando le falde idriche.
A volte le reiniezioni causano anche terremoti di intensità media, secondo quella che viene chiamata “sismicità indotta”. Esempi di inquinamento di acqua e di terremoti dovuti all’industria degli idrocarburi esistono in tutto il mondo, anche grazie a nuove tecniche aggressive che vanno sotto il nome di fracking.
Negli Stati Uniti si contano a migliaia i pozzi acquiferi contaminati dagli idrocarburi e anzi, in questi ultimi mesi diversi stati hanno approvato moratorie. Fra questi, quello di New York il cui sindaco si è detto profondamente contrario alle estrazioni di gas, per non compromettere l’acqua del bacino idrico che dà da bere ai newyorkesi.
È molto grave che nessuno abbia parlato di fracking in Basilicata o delle relazioni fra trivelle e terremoti, vista l’alta sismicità della regione. Sopratutto è molto grave che i pochi strumenti legislativi che potrebbero essere usati per vigilare, come il Piano di Tutela delle Acque della regione Basilicata, non si esprimano sul tema acqua e petrolio.
Ad esempio, si progetta di reiniettare acqua tossica di produzione nel pozzo “Monte Alpi 9” a Grumento Nova, in una zona fortemente sismica e proprio nei pressi della diga del Pertusillo. Si parla di circa un miliardo di litri di acqua di produzione, un mastodontico progetto futuro che dovrebbe preoccupare cittadini e politici.
Invece alla «Copam 2011» nessuno ne ha parlato. Perché? Lascia molto a desiderare anche la posizione del presidente Vito De Filippo, che propone che la regione diventi un hub petrolifero. Chi gli ha dato il diritto di prendere decisioni con effetti così profondi e duraturi? Ne aveva parlato in campagna elettorale? Non sarebbe stato più trasparente parlarne prima con il suo elettorato, piuttosto che ad una conferenza sponsorizzata da Assomineraria?
Chi scrive vive in California, dove le ditte petrolifere sono obbligate per legge a dichiarare che l’attività estrattiva e di raffinazione degli idrocarburi porta tumori, malattie riproduttive e malformazioni fetali a chi ci vive vicino. Fra i firmatari Shell, Exxon e Chevron. Parallelamente si assiste ad uno spaventoso aumento di tumori in Basilicata, senza che nessuno anche solo ponga la domanda se questo possa essere frutto delle estrazioni petrolifere. Ecco, il convegno a cui ho assistito grazie alle dirette streaming mi ha dato l’impressione di voler nascondere delle verità amare e scomode e far finta che tutto andasse bene. La verità è che sposare petrolio e ambiente è impossibile. Non ci è riuscito mai nessuno, nemmeno i norvegesi.
Non sono lucana, ma sono venuta diverse volte in Basilicata a parlare di petrolio, usando la scienza nel modo più pulito e onesto che conosca. Sono rimasta incantata dalla bellezza di certi luoghi e non posso tacere di fronte alla malafede di chi dice che si può fare tutto. Non lo trovo giusto!
Ai lucani l’augurio di scandalizzarsi sempre di più per un ambiente migliore e per una classe politica più coraggiosa, che abbia veramente a cuore la terra e le generazioni future.
*Fisica, professoressa di Matematica applicata alla California State University, Los Angeles
Tratto da IL SOLE 24 ORE
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